Mobbing sui luoghi di lavoro: la discriminazione ai danni dei lavoratori stranieri

Un problema piuttosto diffuso che si manifesta nei luoghi di lavoro è il cosiddetto mobbing.
Per chi non lo sapesse, tale termine, in ossequio alla sua etimologia (deriva dal verbo inglese “to-mob”), indica un atteggiamento aggressivo, una molestia cagionata a terzi.
Quindi, in poche parole, con il termine mobbing si intende quell’insieme di comportamenti violenti che un gruppo rivolge ad un membro.
Tale termine è conosciuto anche come “terrore psicologico sul posto di lavoro”, posto in essere mediante atteggiamenti vessatori ed aggressivi perpetrati nel tempo ai danni di una determinata persona.
Tutto questo, inevitabilmente, determina l’impossibilità per la vittima di lavorare o di porre in essere la propria attività in modo sereno.
Tale atteggiamento, purtroppo, non è una novità. Da circa un secolo, infatti, lo psicologo svedese Heinz Leyemann (nell’ottocento) parlava di questa piaga sociale. Ancora oggi è un fenomeno piuttosto diffuso anche in Italia.
I motivi che, in genere, spingono una o più persone a porre in essere condotte mobbizzanti nei confronti di un soggetto (ad esempio un collega di lavoro o un proprio subordinato) possono essere tantissimi. Una motivazione piuttosto costante è la discriminazione razziale.
È risaputo, infatti, che ancora oggi esiste una vera e propria discriminazione lavoratori stranieri sui luoghi di lavoro.
Molti stranieri, infatti, vengono presi di mira da altri lavoratori o dai propri superiori a “causa” della loro cittadinanza, della loro cultura o religione.
Si pensi, ad esempio, al datore di lavoro che costringe volontariamente a determinati lavoratori che appartengono a determinate culture di lavorare in determinati giorni dell’anno, oppure, nel non indossare determinati accessori o abbigliamenti ecc.
- Indice articolo
- Cos’è il mobbing sul lavoro
- Mobbing sul lavoro: come dimostrarlo
- Come affrontare il mobbing sul posto di lavoro
- Link esterni di approfondimento
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Cos’è il mobbing sul lavoro
Come sopra anticipato, quando si parla di mobbing si fa riferimento ad una pluralità di condotte aggressive e vessatorie poste in essere ai danni di uno o determinati lavoratori. Tuttavia, occorre precisare un aspetto importante.
Il termine in questione non è stato usato dal legislatore, anche se è stato usato (ed è tutt’oggi usato) dalla giurisprudenza, per definire una situazione in cui il datore di lavoro (o altri soggetti come ad esempio un capo reparto ecc) pone in essere una pluralità di condotte che hanno uno scopo ben preciso: vessare un soggetto.
Questo significa, in concreto, che non esiste un atto “tipico” che possa essere sussunto nel novero del mobbing. Ed è proprio per questo che non è semplice riconoscere queste condotte sul luogo di lavoro.
Infatti, le condotte che possono configurare il mobbing, se prese isolatamente, non hanno alcunché di illecito, si pensi ad esempio ai rimproveri verbali, ai trasferimenti, ai procedimenti disciplinari, modifiche delle mansioni, degli orari di lavoro ecc.
Ciò che caratterizza la condotta mobbizzante è che tutte queste condotte (e molte altre ancora) vengono poste in essere con un fine ben preciso: causare un danno ad una determinata persona, pertanto, vengono poste in essere solo ed esclusivamente per questo scopo.
In genere i campanelli d’allarme sono: attribuzioni di mansioni inferiori rispetto alle precedenti, oppure, abuso del potere disciplinare, oppure ancora, privazione totale di qualsiasi mansione.
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Mobbing sul lavoro: come dimostrarlo
Le condotte mobbizzanti oltre ad essere difficili da riconoscere, sono particolarmente difficili anche da dimostrare.
Vista la difficoltà, è consigliabile prendere in considerazione i diversi parametri individuati dalla Suprema Corte di Cassazione nella celebre sentenza n. 10037 del 2015.
Questa, infatti, offre oggi un preciso metodo per capire se il lavoratore abbia o meno diritto al risarcimento del danno causato dalle condotte mobbizzanti.
Sono ben sette i criteri individuati dalla Corte di Cassazione e interessano diversi aspetti:
- ambiente
- frequenza delle condotte
- durata delle stesse
- tipologia di azioni ostili
- dislivello tra gli antagonisti
- intento persecutorio
- andamento per fasi successive
Questo significa, in parole semplici, che i contrasti devono manifestarsi sul luogo di lavoro, i contrasti devono durare per un congruo lasso di tempo, devono essere una pluralità di condotte ostili e devono cagionare una lesione alla personalità del soggetto che le riceve.
Ad esempio deve trattarsi di condotte volte ad isolare il lavoratore, metterlo a disagio a causa delle sue caratteristiche fisiche o culturali ecc. Infine, occorre anche un “dislivello” tra gli antagonisti.
I giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno altresì precisato che la vicenda deve avere diverse fasi: conflitto mirato, inizio delle condotte mobbizzanti, sintomi psicosomatici, abusi, aggravamento della salute, esclusione dal contesto lavorativo.
Infine, oltre a tutto questo, è fondamentale che le condotte siano state effettuate con un preciso fine persecutorio, ovvero, deve essere provato un preciso disegno premeditato e persecutorio ai danni del lavoratore. In caso contrario, non sarà possibile parlare di mobbing.

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Come affrontare il mobbing sul posto di lavoro
Come sopra anticipato, sono tantissimi i lavoratori che quotidianamente devono fare i conti con condotte mobbizzanti poste in essere dai propri superiori o direttamente dal proprio datore di lavoro. Purtroppo, molto spesso, sono proprio i lavoratori stranieri che subiscono maggiori discriminazioni nei luoghi di lavoro, non è raro sentire, infatti, di datori di lavoro che corrispondono una paga più bassa, o sottopongono gli stranieri a mansioni più dure, proprio a “causa” del loro status.
In questi casi i lavoratori si ritrovano in una situazione molto scomoda, tanti, infatti, decidono di non denunciare il comportamento dei propri superiori per il timore di perdere il proprio posto di lavoro. Questo significa, in poche parole, che si ritrovano in una vera e propria trappola che annichilisce completamente i propri diritti.
Onde evitare tutto questo, è fondamentale reagire. La prima cosa da fare è rivolgersi al proprio molestatore e chiedere di smetterla.
Nel caso dovesse andar male, è consigliabile rivolgersi ad un avvocato esperto, ad esempio un avvocato specializzato in Diritto degli Stranieri, nel caso in cui il mobbing sia causato da motivi razziali.
Prima di farlo però, è sempre consigliabile procurarsi delle prove o dei testimoni in modo da raccontare con maggiore precisione all’avvocato ciò che si sta subendo durante le ore di lavoro.
In questo modo è possibile chiedere fin da subito al professionista consigli su come comportarsi in vista del processo da incardinare per far rispettare i propri diritti e per ottenere il giusto risarcimento.
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Gerardo Attanasio
Mi chiamo Gerardo Attanasio e sono laureato in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Salerno. Sto conseguendo un Master in Diritto antitrust, mercato e big data.